Il Trittico del Serra di Enrico Capraia Into the wild Marchetti

13-06-2014 18:09 -

Domenica 8 giugno. Calci - Pisa.

> Non è una gara ma neanche una passeggiata -la definiscono manifestazione cicloamatoriale; si chiama "Trittico del Serra 2014"-: roba amichevole. Mi presento comunque a Calci in punta dei piedi (o, meglio... in punta di pedali); sono qui per la prima volta come ciclista a un evento ufficiale di sport amatoriale, e non come podista. Non più. La caviglia chiede il time-out.
> Niente corsa; e allora si pedala. Va bene lo stesso.
> La giornata è serena e c´è un bel clima di festa. Biciclette ovunque; tanti ciclisti, uniti, come lo sono io adesso, in un´unica cosa con la propria bicicletta: cioè con un piede a terra e l´altro ancora attaccato al pedale, si muovono con grazia e attenzione tra un intreccio di ruote, telai, divise, colori, chiacchiere, saluti e risate.
> Poso la bici e vado per regolarizzare la mia iscrizione. L´organizzazione è efficiente e accogliente: mentre sono in coda allo stand per ritirare il foglio di viaggio, un ragazzo con una lunga lista di nominativi mi chiede nome e cognome e mi consegna il logo del Trittico del Serra da applicare alla bici e il documento di viaggio: "Ciao... sei uno dei tre Marchetti di oggi. In bocca al lupo e buon divertimento!"
> Sono arrivato qui da solo, in un ambiente semisconosciuto, molto diverso da quello del podismo amatoriale che conosco bene: qui non conosco nessuno ma, mentre sto sistemando la bici per la partenza, riconosco il vocione rimbombante di Massimo Beppe Turchi, amico livornese-marinese, ciclista da una vita, insieme ai suoi compagni di squadra, che non esita a imbracarmi "vieni su con noi!"
> Poco dopo trovo anche Mauro; stesso minimo denominatore comune: Marina di Pisa e una bicicletta da corsa, la sua, nuova di pacca e bellissima.
> Fatto il check-in, alle 8,15, si decide di partire. La partenza è "alla francese": si parte in ordine sparso, cioè: quando ci pare.
> Prima ascesa: da Calci alle antenne Rai del Monte Serra. Poco più di ottocento metri di dislivello positivo ripartiti non uniformemente su circa dodici chilometri.
> Il primo chilometro è gentile e lusinghiero: la salita, qui, è veramente dolce e, con facilità, si fa con rapporto alto a una frequenza di pedalata tutto sommato discreta; è qui che ti puoi illudere di avere una buona gamba e di poter pretendere che il Serra ti dia del "lei"; invece lui ti darà del "tu" e tu gli darai del "voi". È sempre così.
> Mi affianco a Massimo. Si sale, si ride, e si scherza.
> Poi, dopo il primo tratto, la pendenza si impenna con una progressione costante e progressivamente disarmante. È proprio qui che, se la conosci a dovere, questa salita, qui sei già preparato e concentrato, e cominci a non parlare più: silenzio... testa bassa e pedalare.
> Nel silenzio si arriva a Castel Maggiore e poi a Tre Colli. È questa la vera faccia del Serra da Calci. La velocità si riduce e, ancora dentro all´abitato, la strada si fa stretta; troppo stretta per così tanti ciclisti con ritmi, gambe, forza, e resistenza, tanto diverse. Qualcuno, davanti, deve rallentare; qualcun´altro, da dietro, ci sfila all´esterno. A volte non c´è neanche tempo di pensare troppo alla salita: si sta solo attenti a non urtare nessuno e a trovare uno spazio dove procedere in sicurezza.
> Qui il vocio e le chiacchiere si attenuano sempre di più e il rumore più comune è il "clack clack" delle numerose cambiate: alla la ricerca del rapporto più leggero. Qualcuno si alza sui pedali; io no. Non lo so se faccio bene, ma ormai ho le mie convinzioni e, senza un grande allenamento specifico, mi affido a quelle: stare sulla sella, lavorare di gambe, busto eretto per respirare bene, mani leggere sul manubrio, spalle ferme, risparmiare il cuore. Ho imparato a salire "di gambe" e non di cuore. Oggi farò così.
> Sono andato a scuola, sì. Il mio professore: Davide Cassani. La mia scuola: "Le salite di Davide Cassani" (you-tube), per la teoria; il Monte Serra e la mia Prestigio per la pratica.
> Ma oggi niente teoria: oggi è la prova del nove!
> Questa salita la conosco bene come le mie tasche, e ho cominciato a conoscermi bene anche come ciclista: so come devo andare, quanto chiedermi, fino a quanto forzare senza il rischio di durare troppo poco. Controllo costantemente il cardiofrequenzimetro, mi concentro sulla pedalata, sulla posizione del piede, sulla posizione in sella, sulla spinta e sul movimento delle gambe. Sento di aver fatto le scelte giuste - ho montato un 39/30; inguardabile per qualsiasi ciclista con un minimo di esperienza-, ma è quello che posso sostenere in questo momento; so anche di essermi preparato come potevo, meglio che potevo e, adesso, finalmente, mi sembra di essere come dovrei essere, dove dovevo e dove volevo essere in questo preciso attimo della mia vita: su questo monte; su questa bicicletta.
> La mia musica in cuffia mi aiuta a raggiungere presto e bene la sensazione di aver trovato la giusta dimensione; adesso, il mio incedere lento verso quella vetta, è diventato un mio tornare alle origini.
> Tanti anni fa, dopo l´intervento alla caviglia, montai in bici e cominciai ad ascoltare e ad assecondare il richiamo del Monte Serra: partivo per un giro e, senza rendermene troppo conto, mi ritrovavo sempre lungo strade e sentieri di questo monte. La bici, al tempo, era una mountainbike; la stessa che adesso è in garage in attesa di qualche altra scalata. Ne è passato di tempo... Ero più giovane di undici anni ma l´istinto era il medesimo allora come adesso; sentii subito che il senso di benessere dato dalla sfida leale tra me e il monte era unico e impagabile.
> Certe cose sono così immense, così eterne e così coerenti, rispetto a questo mondo di vacuità chiacchiere e distintivi che, il ritrovarle, anche se solo per attimi fugaci, si avvicina molto alla felicità. "Felicità a momenti, futuro incerto. È un mondo difficile..."
> Tutte le volte che mi trovo qui a faticare, prima cotto dal sole e poi accolto dall´ombra rinfrescante del bosco, mi viene da pensare che sono cose come queste la più splendida rappresentazione della coerenza che posso immaginare, e tutto questo mi da un grande senso di benessere. e anche di sicurezza: i monti, come il mare, sono così da sempre; e, sempre, saranno così, qualsiasi cosa succeda. Questo... è tornare alle origini!
> Continuo a salire e sto bene e, ripensando a tutte le letture che ho fatto da quando mi sono ritrovato in sella a una bicicletta, mi vengono in mente le parole di Marco Pantani in un´intervista forse dell´anno precedente la sua scomparsa... "Sicuramente ho riscoperto la gioia di fare quello che mi piaceva, dopo un periodo in cui mi sentivo un po´ spaesato, a causa dei troppi cambiamenti. Ma alla fine è emerso il piacere più grande, che è quello di andare in bicicletta, di trovare attraverso gli allenamenti le energie per affrontare anche altre cose. Per mettermi alle spalle questo lungo periodo negativo, l´unico modo è andare in bicicletta, non per stravincere ma per il gusto di poterlo fare. Per questo, sono andato a rispolverare le mie origini."
> Ora, io e Marco siamo vicini e, almeno per qualcosa, anche simili: le salite di oggi me le faccio col Pirata.
> Fatto il tornante di Tre Colli, la strada "spiana"; almeno un po´. C´è un tratto di salita meno dura di circa un chilometro e poi si arriva al pezzo più facile del "Serra da Calci". Qui, di nuovo, il concerto di "clack clack": i rapporti scendono; si ricomincia a pedalare agili e a parlare con i vicini di pedalata.
> Massimo mi ha staccato. L´ho lasciato andare con i compagni di squadra; spingono tutti rapporti più duri del mio. Tuttavia noto che la distanza tra me e loro rimane costante, anche se sto salendo più forte del mio ritmo di quando mi trovo qui da solo. Stare in gruppo alleggerisce anche la salita.
> Un ragazzo che ha l´aspetto di un professionista e che sta seguendo e incoraggiando una ragazza, mi precede di poco e sembra che mi controlli, che capisca che sono alle prime armi, anche se non troppo spuntate. Poi si volta e mi dice "stai pedalando bene, continua così!" Gli dico che, se sapesse che rapporto spingo, non direbbe la stessa cosa.
> Lui dice che stiamo salendo a 11-12km/h e che se, per ora, mi va bene il 30, va bene così. Botta di orgoglio e di fiducia. Pensare che nella notte ho dormito poco e, stamattina, pensavo addirittura di avere la febbre...
> Si sale bene. Massimo e compagni sono sempre lì; Mauro, che stava davanti a me qualche chilometro fa, è rimasto dietro. Per me il Serra finisce allo scollinamento, quando raggiungo la discesa per Buti; ma non oggi.
> Ultimo strappo, si sale ancora; ancora due chilometri e, finalmente, il bivio per le antenne. Galvanizzato per essere quasi a un terzo e di aver sofferto meno di quello che pensavo, mi mangio a buon ritmo i quasi due chilometri di salita, gli ultimi di salita ignorante; poi la salita che va verso le antenne è una piacevole passeggiata anche grazie al fresco dato dall´ombra del bosco e poi tutti i suoi profumi di bosco. Cacchio se son capitato in un bel posto oggi... Le facce della gente che incontro sono quelle di persone felici e questo è solo l´antipasto dell´immenso senso di gratificazione che raggiungerò tra qualche ora e tra qualche altro chilometro di dura salita. Ecco il cancello Rai! Mi fermo. Lo tocco. Piomba! E uno...
> Giro la bici, indosso l´antivento. Bevo, mangio una barretta. Via, giù verso S. Andrea.
> Al raccordo per S. Andrea c´è il primo check: con grande orgoglio mi vedo mettere il primo timbro sul mio foglio di viaggio. Ora giù in discesa.
> La discesa è bella e, per gran parte, nel bosco del versante lucchese del Serra. Ormai Massimo e i suoi amici sono andati; io mi sono preso qualche minuto di pausa in più, forse li riincontrerò tra poco.
> La salita di S. Andrea è bella perché è quasi tutta nel bosco e, tutto questo verde, è una bella cosa da vedere, mentre sali; ma anche quando scendi. Così me lo godo tutto questo verde. Qualcuno ha meticolosamente segnato il susseguirsi dei chilometri sull´asfalto, dal km 1 al km 7,5, che è quello dello scollinamento di S. Andrea, in corrispondenza del bivio per S. Allago da una parte e Calci, Buti, antenne Rai dall´altra.
> La discesa è piacevole come sempre ma questa ancora di più, anche perché in cuffia si alterna la musica di Liga, Cristicchi, Arisa e dei Queen. Scendendo e vedendo sulla strada la progressione discendente di quei numeri, il pensiero arriva subito, e anticipa un pochino, la preoccupazione per la prossima salita; proprio quella... che, a detta di tutti, è la più dura delle tre. Pensieri in discesa. "Chissà come starò quando sarò di nuovo qui... Speriamo di non aver tirato troppo sulla prima... Chissà se sarà già troppo caldo, se mi basterà l´integratore che ho nella borraccia..."
> Tra pensieri, tornanti, curve e frenate, arrivo quasi alla base: S. Andrea di Compito.
> Qui, poco prima dell´abitato, faccio il mio primo incontro con un ciclista atipico: fisico asciutto e faccia sofferente ma determinata. L´atipico per la gente che è qui oggi è che lui, a occhio e croce, avrà superato la settantina; forse ne ha 75... Io scendo; lui sale. Pochi secondi per sfrecciarci l´uno accanto all´altro ma sufficienti per garantirgli, chiunque fosse, la mia più sincera stima e ammirazione. Pochi giorni dopo il trittico ho scoperto che si chiama Antonio e che ha veramente 75 anni e una passione per la bicicletta che dura da una vita. Ecco, colgo l´occasione per dire che, in quel momento, Antonio è stata la cosa più bella che avevo potuto osservare fino a quel momento del mio Trittico -e lo è ancora adesso che è passata una settimana- ed è uno dei motivi per cui, da dopo il mio Trittico, l´amore per il ciclismo mi è lievitato in corpo a dismisura: Antonio è come vorrei essere io alla sua età: passione granitica e pura ed esempio per tutti. Chapeau!
> In stato di trans ammirativo per l´incontro con Antonio, incrocio Massimo e i suoi compagni di squadra, già in fase di risalita, che mi dicono di sbrigarmi e di andare su con loro.
> Col timore di rallentarli, gli dico che vadano, che non mi aspettino, che andrò del mio passo. Così arrivo al secondo giro di boa, mi faccio mettere il visto della prima discesa e comincio la salita numero due...
> Poche pedalate e ritrovo Massimo che ha lasciato i suoi amici e si è fermato per aspettarmi. Ringrazio e si parte insieme. Dico... "Grazie ma vai..." Dice... "Tranquillo, si fa insieme; poi io scendo e vado al Colle."
> Massimo spinge un rapporto molto più duro del mio e si alza spesso sui pedali; io, sicuro delle mie convinzioni, rimango sul sellino. Training autogeno: "Stai seduto, busto eretto, spalle ferme, mani morbide sul manubrio, lavora di gambe... Respira bene... Va bene così." Con Massimo che continua a parlare anche in salita, sono costretto a togliermi la cuffia sinistra per riuscire a capire quello dice. Si sale insieme, sempre appaiati; è una salita dura ma sincera quella di Compito: non ti molla mai fino a quando non vedi in terra il numero del chilometro 7 e mezzo. Qui, quello che vedi è quello che avrai: niente pause; un unico lungo strappo fino a quando "scapoli" il monte.
> Con Massimo che mi rintrona di discorsi è un attimo ritrovarsi a metà: chilometro 3,5. Si procede bene. Lui duro, spesso sui pedali. Io agile, seduto sul sellino. Poi arriva il 5; ci si ferma per bere e per riempire le borracce. Il posto è stupendo. Le gambe girano ancora bene. Sto bene. Un tratto al sole e, incredibile... vento contrario... In salita!
> Poi si rientra nel bosco e scompare il caldo e anche il vento. Arriva il 6 e poi, finalmente, il 7,5! È fatta! Un breve tratto di salita che si lascia fare e siamo di nuovo al bivio per le antenne. Massimo mi stringe la mano e mi saluta. Raggiungo di nuovo il cancello delle antenne Rai. Piomba! E due!
> Al rientro sulla strada mi fermo al secondo check sul mio foglio di viaggio e al fantastico ristoro che, nel frattempo, è stato rapidamente allestito. Qui due signore gentilissime si rammaricano con noi perché non hanno la coca-cola... Ringrazio e le trqnquillizzo: c´è ogni ben di dio. Mangio un po´ di crostata e bevo acqua e, per non farmi mancare niente, anche un bicchiere di vino rosso. Ringrazio e riparto per la discesa per Buti.
> Qui il senso di gratificazione per l´impresa è già a buon punto. In cuffia non potevo avere di meglio per questo momento... Liga, nati per vivere "Ogni giorno è un altro giorno altro che domani sveglia, paglia, mal di testa, prime imprecazioni fra gli annunci non c´è niente il futuro è cominciato già ogni giorno è un altro giorno non lo puoi saltare qualcheduno canta che sei nato per morire fuori si alza ancora il vento chi lo sa se il tempo cambierà nati per vivere adesso e qui sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare ogni giorno è un altro giorno altro che domani le promesse che ti han fatto sono andate a male la tua miccia è corta non sai quando la tua rabbia esploderà ogni giorno è un altro giorno non si può sapere ciò che è andato storto adesso non lo puoi cambiare ma respiri a fondo e senti che ora il tempo non ti scapperà nati per vivere adesso e qui sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare nati per vivere è tutto qui devo segnarmelo prima di morire un altro testo da imparare guarda come resti nell´inferno che perlomeno lì fa caldo guarda come guardi in alto e chiedi come la mettiamo guarda come è facile scordare la tua porca verità nati per vivere adesso e qui sotto le costole un ritmo irregolare che non si fa dimenticare nati per vivere è tutto qui devo segnarmelo prima di morire un altro testo da imparare."
Per arrivare a Buti ci sono circa 14 chilometri. Comincio a sentire un po´ di stanchezza anche in discesa: cerco di non cedere all´istinto discesista e di mordere un po´ più del solito i freni ma, a frenare troppo mi fanno male le mani. La lascio andare... Qui, in un attimo sei a 60-65 km/h. È bellissima Buti in discesa.
Incrocio tanta gente che risale, qualcuno ormai lo conosco di vista e ci si saluta. Arrivato a Buti e fatto il check e ripristino borraccia, mi fermo per spazzolarmi una barretta energetica. Qui il caldo si fa sentire. Il vento rinfrescante che c´era sopra... Qui, non pervenuto.
I primi chilometri dell´ascesa da Buti non fanno sconti, nonostante sia delle tre la salita più umana. Anche qui sono segnalati i chilometri. Qui addirittura sono segnati con il logo del Trittico del Serra, e sono un buon rifermento perché ormai so che, quando vedo scritto "6", la salita diventa sempre più leggera, fino all´ultimo chilometro che lo fai scalando i rapporti e riuscendo a pedalare forte come non avresti creduto pochi chilometri prima.
L´unico problema, qui, è il caldo. Il sole è già alto e salire in queste condizioni è decisamente provante; senza contare che è la terza salita che facciamo...
Qui, salendo con metodo e dedizione certosina, inizio a vedere un gruppo di ciclisti a circa duecento metri davanti a me. Decido di riprenderli per fare un po´ di strada insieme. Tra loro c´è una ragazza con il completo rosa del Trittico; appena li raggiungo penso e decido che la maglia rosa del Giro d´Italia non la prenderò mai ma la maglia rosa del Tritico mi spetta di diritto.
Rinfrancato dalla presenza dei nuovi compagni di ascesa, mollo un po´ di frequenza. In gergo si dice che "mi metto dietro a ciucciare le ruote."
Tempo un minuto e ci superano un tipo e una tipa con pedalata brillante. Lei, evidentemente perché veniva su da Buti ed era alla sua prima ascesa della giornata, con piglio deciso e non troppo riverente, ci chiede strada con un antipaticissimo "hop hop hop..." La tipa in rosa non se lo lascia dire due volte... "Bella... Voi siete alla prima. Noi siamo alla terza..." Risata generale e virtuali ripetute battute di "cinque".
Quando la salita smorza, io saluto il gruppetto e allungo un po´. Per cambiare un po´ posizione e sgranchirmi un po´ le chiappe, comincio a fare qualche tratto in piedi sui pedali: scendo di un rapporto, faccio la mia sgambata sui pedali, mi risiedo sul sellino, alleggerisco di nuovo di un rapporto. Forte degli insegnamenti del Professor Davide Cassani, ripeto l´operazione più volte; fino a quando la salita diventa apparente discesa e pedalare diventa di nuovo facile; cioè allo scollinamento per Calci. Non è ancora finita. Devo percorre gli ultimi due chilometri di salita fino al bivio per le antenne, e poi la salita alle antenne per il terzo e decisivo "piomba"...
Quando riprendo a salire capisco subito quanto, quei due ultimi chilometri di salita dura, saranno chilometri duri. Credo di essere alla frutta con le riserve energetiche; guardo l´orologio... Mi faccio notare che, senza essermene reso conto, in effetti, sono in bici da circa quattro ore.
Raggiungo un tipo più lento di me che fa sù e giù con le spalle, alla ricerca di energie residuali da strappare dal manubrio. Mentre siamo fianco a fianco, due colleghi già "brevettati" ci incrociano scendendo coi loro brevetti nuovi di pacca in mano.
Uno dei due fa all´altro... "Questi sono in difficoltà... Si vede lontano un chilometro..."
Porca paletta. L´avesse detto mai... A voce alta rispondo "grazie, sei un amico!"; poi saluto il compagno di sventura e tiro fuori le ultime forze per riprendere un ritmo di pedalata decente alla faccia del fenomeno neobrevettato.
Ancora qualche centinaio di metri e poi la discesa. Finalmente! Sono vicino alla fine del mio Trittico del Serra. Una botta di adrenalina fatta di orgoglio e di rabbia scaricata per terra si trasforma in brivido sulla schiena e, se fossi sotto un traguardo vero, in questo momento sarei a pedalare senza mani con le mani levate al cielo.
Ultima salita per il cancello Rai. Ultimo chilometro. Ultimo timbro e poi... Brevetto.
Quando arrivo, per la mia terza volta al cancello Rai, lo tocco con la ruota anteriore e poi con la mano e, come ho già avuto modo di raccontare, mi escono, direttamente dalla pancia, due parole, solo due... Ma piene zuppe di tutto quello che ho dentro: "porca puttana" e "vaffanculo".
Un bacio virtuale a questa bici che già amo così tanto e scendo al piazzale per il ristoro, il check finale e il mio brevetto.
La discesa per Calci mi scorre via dagli occhi come i titoli di coda di un film che mi è piaciuto tantissimo; talmente tanto che, una volta giù, quasi quasi girerei la bici per ricominciare; la colonna sonora in cuffia e la solita; la mia.
Auguro a chiunque voglia inforcare una bici da corsa una giornata meravigliosa come lo è stata per me quella del mio primo Trittico.
Fine

Enrico Capraia Into The Wild Marchetti






Fonte: Enrico Marchetti