Stockholm UltraMarathon - I RUN FAR

09-08-2014 20:52 -

Siamo pochi, 577. Come se chi non si è iscritto lo sapesse...
È la seconda edizione dell'Ultramarathon di Stoccolma. Si spende una barca di soldi, piú di 100 euro, ma si corre nella mia cittá adottiva. Qui da 15 anni corro, i primi sette anni correvo anche d'inverno. Io quel parco lo conosco, lo adoro. Si chiama Djurgården, letteralmente il Giardino degli animali. C'è anche una squadra di calcio che si chiama Djurgården, giocó in Champions qualche anno fa, con la Juve. Una mia collega mi chiese se volevo far fare un giro alle mogli dei calciatori della Juve, e io tra le varie mete le portai proprio lí. Perché a Stoccolma si vede il galeone Vasa, o il municipio dove banchettano i Nobel, o la vecchia cittá, ma si deve catturare la sua atmosfera.
Stoccolma, come dico ai turisti quando dismetto il camice bianco tra una visita posturale e l'altra, non è l'arte. Stoccolma è la natura. Stoccolma è l'acqua del mare, e anche l'acqua del lago Mälaren, da dove partivano i vichinghi, quelli svedesi, quelli senza le corna sull'elmo, che le corna ce le avevano sì, ma non sull'elmo...stavano a lungo fuori..si sa poi come va.
Stoccolma è acqua, è verde, acqua e verde ovunque, e ti viene voglia di farti avvolgere da questa natura, ancora rispettata, ancora florida, ancora in cittá. Questa natura che non molla un metro al cemento della cittá, tanto che Djurgården non è che una parte del parco nazionale urbano, avete capito bene: Parco Nazionale Urbano, in cittá si corre, e si corre per chilometri e chilometri, e si incontrano alci, e lepri, e cigni, e in queste acque si fa il bagno, sí proprio in cittá.
Quel parco è il mio parco, perché io l'ho conquistato, e l'ho conquistato passandoci ore, correndoci dentro, nel bosco, nuotando nelle acque che lo bagnano. Io ho la cittadinanza del parco, sono svedese perché corro nel parco, tanto quanto gli Stoccolmesi. L'ho fatto per anni e credo che continueró a farlo, per sempre, perché dopo quindici estati una cittá diventa la tua cittá, e il suo parco è il tuo parco, e cosí tutti gli animali che la frequentano, che nuotano, volano, e corrono...appunto.
Tutto questo mi aiuterá, mi dico, perché per me questa corsa è anche un esperimento di fisiologia applicata, e di psicologia. Quando la teoria la sai, e la insegni persino, sai benissimo che la pratica è un'altra, e che il tuo corpo non reagirá a sforzi estremamente diversi da quelli ai quali l'hai sottoposto finora, ed è forse questa la molla che mi spinge, prima di tutta la filosofia della corsa: vedere se mi sono allenato come dovevo, vedere se gestire la corsa come mi sono prefisso dará i suoi frutti, vedere se quando non ci sará piú benzina riusciró a gestire la riserva comunque. Quasi un amore per la scienza, un esperimento sul mio corpo.
E se mi chiedo se sono pronto mi rispondo che non lo saró mai come voglio, e che quindi va bene cosí, e l'opera su se stessi si lascia cosí come è, come un pittore che a un certo punto decide di posare il pennello e lasciare l'opera cosí come é. Sì!! Sono pronto!!

L'ultramarathon di Stoccolma si corre in sei giri. Cazzo. Sei giri? Ma come? Ma se quando faccio 3 giri di mura di Lucca mi viene da spararmi...Calma.
Pensare di correre cinquanta chilometri è giá abbastanza 'challenging', per non aggiungerci il dover girare come un pazzo sullo stesso percorso di nove chilometri. L'idea di correre una maratona, o una ultramaratona, o comunque di andare a correre a prescindere, è quella di coprire una distanza, di correre lontano, di arrivare a...I run far. La conquista dello spazio geografico, come quello che facciamo tutti noi, anche in vacanza, anche per visitare una cittá. Scarpe ai piedi e correre la cittá, scoprirla, o scoprire lo spazio che la separa da un'altra.
La prima maratona alla quale mi iscrissi fu quella di Stoccolma, dieci anni fa, erano due giri, si passava ancora dal parco, ma dall'esterno. Chi ha provato la maratona di Stoccolma ha visto il parco, ma ne ha solo carpito le potenzialitá che nasconde. Due giri la maratona di Stoccolma...la tentazione è di passare dalla partenza e dire, Grazie signori, bel percorso, ottima organizzazione, ma la mia tedeschina mi sta salutando, ed è cosí dolce che io mi fermo qui. Ed è proprio cosí che feci, al secondo giro mi fermai tra le braccia della mia amburgherina.
Immaginiamoci in circostanza analoghe, un percorso che si sviluppa su sei giri, ancora piú lungo di una maratona, che cosa potrebbe succedere.
Ebbene non è cosí, non so se quello che segue è frutto della mia razionalizzazione, ma direi di no a conti fatti. E ve ne spiego il motivo:
Sei giri, sei giri nel parco, nella foresta, tra i canali e il mare. Si attraversano ponti, si abbraccia la gente che non suona infastidita se gli blocchi la strada. In sei giri si corre nella natura, quasi la metá del percorso è trail, trail nel bosco, trail in una natura da strofinarsi gli occhi e aspettare che ti pizzichino. La natura non è mai banale come le costruzioni dell'uomo, e comunque è cosí varia che anche se conosci il percorso ti sorprendi ad ogni passo di un albero, di un cespuglio, di un'insenatura che non avevi notato. Lo sanno bene i nostri amici che alle cinque del mattino vanno a correre sui monti. Non lo fanno per la pendenza, credo, lo fanno per la natura che incontrano ogni volta, per un senso di appartenenza forse ormai perduto, ma che si riappropria di noi ogni volta che cambia l'aria, cambia l'albero, combia il panorama.
Al terzo km siamo giá nella foresta, ci sono delle croci a destra, che bisogna davvero tirarci gli occhi per vederle, tanto sono piccole e mimetizzate, nello scuro del verde che non fa passare la luce del sole. C'è scritto Djurkyrkogården.
Agathe corre con la bandiera francese appesa sul culo, dice che cosí la gente capisce che è francese e che se non risponde non passa da maleducata, e allora la gente quando passa grida: vive la France! Il suo ragazzo le ha detto al giro prima che quello è un cimitero per gli animali, e probabilmente è l'ultima cosa che gli ha detto prima di mollarla lí a correre da sola. Peró, che carino un cimitero per il nostro canino, qui nel parco, immerso nella foresta. Non ho il coraggio di interrompere la corsa per vedere se hanno avuto la brillante idea di mettere anche la foto del cucciolo.
Le due norvegesi invece corrono con gli zaini pieni d'acqua, le supero e ai ristori mi superano di nuovo. Dopo un giro sai esattamente dove trovarli, ce ne sono ben cinque di stazioni, cinque su nove chilometri...sti svedesi!!! Non hai bisogno di programmare nulla, troverai sempre quello di cui hai bisogno, o ancora meglio, puoi programmare al centilitro il tuo rifornimento di acqua, al milligrammo i sali e gli zuccheri, perché li troverai sempre al solito punto del tracciato, e questo è un bel vantaggio. Sará perché non bevi solo acqua che apprezzi la varietá del rifornimento, a prescindere dalla tua voglia di appagare tale curiositá. All'energy station c'è tutto, dico tutto, la nostra Enervit ha fatto davvero un gran lavoro ad arrivare qui, e qui promuove tuttituttitutti i suoi prodotti, al ristoro, ma c'è anche l'uvetta, la cioccolata, i tuc, le noccioline, le patatine, le brioches e i tortini alla cannella, i Godis (troiaietti dolci), gli hotdog, le polpette, le banane, coca cola, birra, acqua naturale e acqua gassata, acqua con sali enervit, ah, i cheesecakes, dimenticavo, e il brodo caldo. Non approfitto oltre, bevo e riparto, recupero le norvegesi. Dico: hej Tjeier!!
Parlo svedese con loro perché le norvegesi hanno un accento buffissimo, gli svedesi dicono che sembrano ubriache quando parlano, ma intanto corrono e non si fermano mai. Anche Anders corre, ha detto che ha fatto una 50 miglia, miglia, corre piano, non ha fretta. Quasi nessuno ha fretta, bisogna essere regolari, e poi questo percorso non perdona, è un saliscendi costante, ti spezza le gambe se ci pensi, ma devi insistere a passetti, e portartelo a casa.
Ogni tanto arriva una mountain bike che fischia: sta precedendo i campioni, quelli che davvero non pensano alla regolaritá e quando passano ti fanno vento. Ecco un altro vantaggio del percorso a giri: per un istante hai corso con loro, per due istanti, per tre istanti. Quando ti doppiano, e capisci cosa vuol dire vedere uno che va davvero, e fa il tuo tempo nella distanza doppia, senti che te per questo sport proprio non ci sei trombato, o magari ci eri una volta ma non hai sfruttato le tue capacitá, e ora ti tocca guardarli. E questi si fanno anche i 100km, e tu ti dici: che sfigato che sono, e loro sì che hanno fretta.
Linus Holmsäter quando passa fa davvero vento, e ci vuole, perché se non sei all'ombra oggi fa veramente caldo. 28 gradi, che temperature assurde quest'estate svedese. Linus vince tutte le 100 km svedesi, è il Calcaterra scandinavo, ma non sembra concepito fisicamente per una lunga distanza, è largo, e quando corre sembra ancora piú largo, ma va ad una velocitá animale, in salita, in discesa, si inerpica come una renna, sembra che sia nato in questi boschi. Quando ci sorpassa si porta via tutta la sua gang di biciclettisti e ritorna il silenzio del parco. C'è un tale che corre con le Crocs, lo guardo e gli dico a gesti: te sei scemo bimbo, poi cedo alla tentazione di chiedergli come fa con i sassolini che gli entrano nelle scarpe. Mi dice: come entrano allo stesso modo escono...saggezza svedese.
C'è un ometto svedese, saggio per veneranda ma non piú venerabile etá, mi dicono che ha piú di novant'anni, qualcuno prima o poi dovrá dirgli che non sta correndo, e che anzi pende da un lato, ma al quinto giro lo doppio e sembra ulteriormente crollato su un fianco, eppure va avanti.

Ultimi due giri. Si dice che la corsa è la metafora della vita, se ne parla in tutti i modi, ognuno ci vede quello che vuole in questa metafora. Ecco, io oggi questa metafora la voglio usare in modo inconsueto, atipico, direi paradossale: nella corsa di oggi io ho visto invecchiare la gente, chilometro dopo chilometro, l'ometto si è arrotolato su se stesso e dio solo sa se è arrivato in posizione ancora eretta o gattonando, ma tutti sembriamo appesantiti, avvitati, invischiati, zoppi, ci stiamo deteriorando. Anche la faccia di Agathe, che era una bambina al primo giro, ora sembra mia madre. Gli addetti al percorso tifano ancora per noi, ci incoraggiano davvero, non li pagano mica, ma le prime risposte grate e decise ora trovano solo pesanti rantoli o gesti di ringraziamento. Sembra che anche loro, queste splendide ragazzine bionde che ci tifano e ci indicano la strada, stentino esse stesse a riconoscerci.
Al 35' chilometro sento le mie gambine scricchiolare, mi sento robocop. E pensare che ero arrivato cosí brillantemente al 4 giro, cosí come avevo deciso di fare. Sì, era questo il mio piano, perché è importante avere un piano:
-I primi due giri facili e leggeri: l'adolescenza; i secondi due giri maturi e consapevoli della difficoltá: la maturitá; i terzi due giri: stringere i denti e resistere, la vecchiaia, appunto.
Ecco, questo giro adesso è una splendida casa di riposo, in cui ognuno si lagna delle sue magagne, o si vergogna di incontrare gli occhi dell'altro per non renderlo partecipe delle proprie difficoltá. La gente comincia a camminare, manca poco, dai manca poco, ma le gambe non vanno davvero piú, e non vanno neanche a camminare. Ah, dimenticavo al ristoro ci sono anche i massaggi. Lo dico a Agathe, che mi dice che sono pazzo, che poi non riparto piú se mi fermo, ma io non resisto alla tentazione del massaggino e mi fermo ai box.
-Vad hard du ont?
Non lo so dire in svedese, dico: ileotibial band. La ragazzina comincia il massaggio ma mi fa male, le dico che non è lí l'ileotibial band ma lei se ne frega e fa il suo, come i parrucchieri quando gli spieghi il taglio che vuoi e tanto loro fanno quello che cazzo gli pare.
-Är det ok?
-Si, tack.

Quando riparto mi sembra di nuotare, muovo le braccia per compensare le gambe, mi mancano ancora 13 km.
Piano piano riparto, anche perché non trovo veramente nessun vantaggio nel camminare anziché nel correre. Assurdo, ho quasi piú dolore a camminare, e su quella discesa ho la precisa quanto imbarazzante sensazione che perderó almeno tre unghie, cioè le ultime che mi sono rimaste. Maledette discese, le odio!
Penso: mai piú mai poi, se me ne stavo a casa a martellarmi le palle godevo di piú. E mi chiedo del perché è importante invitarsi a questi appuntamenti di masochisti, e non riesco a darmi una riposta valida tra nessuna di quelle che in genere mi giustificano nelle mie piú originali imprese. Cosí mi sento vecchio, non sono nel corpo ma anche nello spirito, ma non è previsto, non è neppure concepibile gettare la spugna, qui si arriva in fondo, fosse l'ultima gara che faccio, perché io non mollo.

Sono un vecchio tra i vecchi, stanno soffrendo tutti e quando salutano i loro cari, nello stesso punto del percorso li aggiornano su quanto stanno male, e ripartono cianchettanti e rantolanti per gli ultimi spiccioli di gara. E i loro cari si guardano per parlarsi e si chiedono il perché di questi sadismi.
All'ultimo giro stringo i denti e recupero posizioni, la gente sembra bloccata, non riescono piú a correre, hanno le gambe di sale, non piegano piú le ginocchia, come me del resto, ma io ormai non ci penso, e anzi ormai ripeto come un mantra che è meno faticoso camminare che correre. E poi mi ripeto in testa: Sono un meccanismo, una volta azionato non mi si puó piú fermare, non mi si può piú fermare. I pensieri da stanco si stancano, sembra che si ripetano in ciclo, come gli incubi che si fanno con la febbre alta, e si ripetono, come i miei passi, uno dopo l'altro. Non sono piú pensieri, sono automatismi di pensiero, come gli automatismi di movimento che mi fanno avanzare ancora, con sempre meno centimentri sotto miei piedi. Si tratta di aspettare, respirare, ritornare dentro me stesso, continuare ancora a vivere come la piú semplice forma di vita, che non pensa, non sente, e quindi non soffre. Dietro la mia testa c'è solo il pensiero che finirá prima o poi e devo solo andare avanti, che poi cosí male non é.
Gli ultimi metri non sono piú facili degli altri, il percorso lo conosco bene, so che sono vicino, ma finché non arrivo non sono sicuro che il mio corpo mi porterá al traguardo. E a pochi metri capisco che ormai è finita. Non riesco a capire se sono felice o se quello che ho fatto non ha alcun senso. Cerco di sorridere alla ragazza che mi da la medaglia ma anche il grazie mi esce confuso di bocca, come una smorfia e non come suono, come la mia espressione di gioia, che sembrerá al mio pubblico una maledizione.
Piano piano mi riempie il senso di qualcosa di incredibile appena compiuto, la consapevolezza di aver spostato i miei limiti fisici ma soprattutto mentali molto piú in lá, e che da questo momento in poi potró fare qualsiasi cosa.
Perché un' ultramarathon è gestione mentale, della sofferenza, della resistenza. Correre non è piú piacevole a un cero punto, ci sono crisi, anche lunghe. Quando invitammo Giorgio (Calcaterra) alle nostre lezioni all'universitá, ci disse che nell'ultimo Passatore aveva avuto una crisi dal 55esimo all' 80esimo chilometro, pensate che vuol dire gestire una crisi per 25 chilometri per uno che va a 3:50 al km per 100km...mi dispiace raccontarvi di sofferenza fisica, ma questa è anche una narrazione di gioia, di compimento, di soddisfazione, e le piú belle gioie sono quelle che seguono grandi sofferenze. Cosí si impara, cosí si impara tutto, col sacrificio, con la resistenza. E si diventa dipendenti da questa fatica, perché anche le gare piú brevi diventano dure, perché una dieci si puó correre alla morte, e se si è superpreparati si spingerá di piú. Certo che si puó fare per divertimento, ma la corsa è prima di tutto sacrificio, altrimenti saremmo ancora alle piagge a fare i nostri quattro chilometri, e invece spingiamo sempre di piú, per vedere dove ci spezziamo. Brutta cosa da dire per uno cha fa il mio lavoro...
Sì, é tutto mentale, se si riesce a gestire si puó correre per distanze neanche ipotizzabili. E anche se a fresco ti dici che coglione che sei Andrea a volerti far cosí male, domani o dopodomani, o tra una settimana ti riverrá voglia di andare a correre perché la gioia di aver compiuto qualcosa di importante supera la fatica, perché hai visto premiati i tuoi sforzi, perché ti dimentichi la sofferenza fisica che hai provato, e perché ci piace un po'sbatterci la testa ogni volta sugli stessi errori...ahahahaaah

Fonte: Andrea Guerrini